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Vini Zero-Alcol: Armand Heitz denuncia il ‘Frankenstein’ dell’industria vinicola

Armand Heitz, viticoltore di spicco della Borgogna e voce sempre più influente nel panorama enologico, ha sollevato un polverone con le sue dichiarazioni taglienti sui vini zero-alcol. Definendoli senza mezzi termini un “Frankenstein dell’industria vinicola”, Heitz critica duramente l’espansione di prodotti che, a suo dire, calpestano l’autenticità e la tradizione del vino.



Un attacco frontale ai vini Zero-Alcol

Per Heitz, il vino è l’espressione pura di un territorio, un clima e una cultura.

I vini zero-alcol, invece, rappresentano il contrario: prodotti artificiali, frutto di tecniche industriali invasive come i coni rotanti, l’osmosi inversa e la distillazione sotto vuoto.


“Questi processi – afferma Heitz – non solo distruggono la vera natura del vino, ma lasciano anche un’impronta di carbonio significativa. È l’ennesima trovata dell’industria per cavalcare una moda e fare cassa, a scapito di valori che richiedono secoli per essere costruiti.”

Le sue parole risuonano come un monito in un momento in cui l’Unione Europea spinge per l’adozione di vini a basso o nullo contenuto alcolico suggerendo che queste categorie potrebbero rispondere alle nuove tendenze di consumo e alle sfide di un mercato globale in trasformazione. Ma per Heitz, si tratta di un passo falso: un compromesso che annacqua non solo il vino, ma anche l’identità culturale che lo accompagna.


L’Italia segue il trend, ma qual'è il prezzo?

Anche l’Italia, patria di alcune delle più grandi eccellenze vinicole mondiali, ha recentemente aperto le porte ai vini dealcolati.

Il decreto attuativo firmato dal Ministro Francesco Lollobrigida lo scorso dicembre ha abolito il divieto di chiamare “vino” una bevanda con meno di 8,5 gradi alcolici. Una decisione che spiana la strada a una rivoluzione commerciale, ma che solleva inevitabili interrogativi: cosa resterà dell’autenticità del vino italiano se lo priviamo del suo alcol, elemento essenziale del suo carattere?


Per i tradizionalisti, questa mossa equivale a un sacrilegio.

Il vino è un simbolo di artigianalità e cultura; ridurlo a una mera moda per soddisfare le tendenze del momento appare come un tradimento alle sue radici. Ma dall’altra parte, c’è chi vede nei vini zero-alcol un’opportunità: un nuovo segmento di mercato per un consumatore sempre più attento alla salute e meno disposto a tollerare compromessi con lo stile di vita.


Un dibattito che divide

Le dichiarazioni di Heitz sono provocatorie, ma di base sono un’accusa diretta a un’intera filosofia produttiva.

Per il viticoltore francese, chi vuole evitare l’alcol dovrebbe semplicemente scegliere alternative naturali: “Bevete acqua o succhi di frutta. Almeno non state alterando un prodotto che ha radici profonde nel terroir e nella storia.”

Eppure, per molti produttori, questa è una visione miope. Il mercato globale cambia rapidamente e con esso anche le aspettative dei consumatori. Ignorare queste trasformazioni potrebbe significare perdere terreno a favore di chi è disposto a innovare. Ma a quale costo? È possibile innovare senza svendere l’anima del vino? Heitz, e non solo lui, sembra avere forti dubbi.


Un futuro In bilico

Il caso dei vini zero-alcol è emblematico di una battaglia più ampia che coinvolge il settore enologico: quella tra tradizione e innovazione, tra autenticità e adattamento. La produzione vinicola non è nuova a sfide di questo tipo – si pensi alle critiche mosse in passato contro l’uso eccessivo di tecnologie moderne in cantina o alla standardizzazione dei gusti per il mercato internazionale. Ma con i vini zero-alcol, la posta in gioco è molto più alta.

E' un un dibattito tecnico e commerciale e una profonda questione culturale.

Il vino, nella sua forma più pura, è un’Arte.

Renderlo un prodotto “neutro” per assecondare una moda del momento rischia di svuotarlo del suo significato.



Le parole di Armand Heitz hanno il merito di mettere il dito nella piaga.

Il futuro del vino non dipende solo dalla capacità di rispondere alle richieste del mercato, ma anche dalla volontà di preservarne l’essenza.

I vini zero-alcol saranno anche un fenomeno in crescita, ma per molti – tra cui Heitz – rappresentano una scorciatoia, un compromesso che non merita di essere fatto.


Il vino non è storia, cultura e tradizione e, soprattutto, è un prodotto che deve rimanere fedele a se stesso. Se i consumatori cercano qualcosa di diverso, forse è il momento di guardarci negli occhi e chiederci: cosa vogliamo davvero dal futuro del vino?

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