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Il Gelato artigianale italiano: storie, sapori, stagionalità

  • Immagine del redattore: Donatella De Lucia
    Donatella De Lucia
  • 2 ago
  • Tempo di lettura: 5 min

Agosto, il mese in cui l’Italia si crogiola sotto un sole che non perdona, e il gelato artigianale è dessert e un vero e proprio atto di resistenza culturale che profuma di tradizione e creatività.


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Certo, parliamo di gelato, quello vero, quello che all’estero chiamano orgogliosamente GELATO – sì, senza traduzione, perché non esiste un equivalente linguistico che ne catturi l’essenza.

È un simbolo dell’Italia, un patrimonio gastronomico che, come il vino o la pizza, racconta storie di passione, territorio e un pizzico di genialità.


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Dalle Neviere alla Gelateria di Quartiere

Il gelato, come ogni grande invenzione italiana, ha radici che si perdono tra mito e realtà. Si dice che già in epoca romana si mescolassero neve del Vesuvio, miele e succhi di frutta per rinfrescare i palati nobili. Ma è nel Rinascimento, con la Firenze dei Medici, che il gelato prende forma. Si narra che Bernardo Buontalenti, architetto e gourmet ante litteram, creò una crema fredda per Caterina de’ Medici, unendo latte, uova e zucchero: un proto-gelato che fece sospirare le corti europee.

Poi, nel ‘600, il siciliano Francesco Procopio dei Coltelli porta il gelato a Parigi, aprendo il Café Procope e trasformando il gelato in un fenomeno internazionale. Da lì, la strada è tutta in discesa.

Oggi, il gelato artigianale italiano è un’evoluzione di secoli di esperimenti, errori e colpi di genio. E' un simbolo di come gli italiani trasformino ingredienti semplici in capolavori. E no, non chiamatelo “ice cream”: il gelato è un’altra cosa, più morbido, più denso, meno grasso, con una percentuale di aria (l’overrun) che non supera il 30-40%, contro il 100% di molti gelati industriali. È il risultato di un’alchimia che non ammette scorciatoie.


La Produzione: Scienza, Arte e un Pizzico di Follia

Fare gelato artigianale è come dirigere un’orchestra: ogni ingrediente deve suonare la sua parte, senza sovrastare gli altri. La base è semplice: latte, zucchero, panna, talvolta uova per i gusti crema.


Ma la magia sta nei dettagli.


Il gelatiere artigianale, un po’ scienziato e un po’ poeta, bilancia con precisione maniacale la componente zuccherina (per evitare cristalli di ghiaccio), i grassi (per la cremosità) e l’acqua (per la struttura).

La pastorizzazione e la mantecazione – quel processo in cui la miscela si trasforma in gelato grazie a una macchina che la raffredda e la agita – sono il momento in cui si decide se il gelato sarà un capolavoro o un disastro.

La qualità degli ingredienti è non negoziabile.

Il pistacchio deve essere di Bronte o di Stigliano, non una pasta verde indefinita; il limone deve urlare Costiera Amalfitana; il cioccolato fondente deve avere un pedigree che farebbe invidia a un Barolo. E poi c’è la stagionalità: ad agosto, il gelato al fico è un inno alla dolcezza estiva, mentre il sorbetto al melone canta l’afa delle campagne.

I gelatieri più audaci osano con gusti come basilico, gorgonzola o olio extravergine d’oliva, sfidando le papille gustative e dimostrando che il gelato non ha confini.


Qualità e Tipicità: Il DNA del Gelato ItalianoCosa rende un gelato “artigianale”?

Non è solo l’assenza di additivi o basi pronte (anche se, ammettiamolo, qualche gelatiere furbo ci prova). È la cura ossessiva per la materia prima, la produzione in piccoli lotti, la freschezza.

Un gelato artigianale non si conserva per mesi: va consumato entro pochi giorni, perché la sua anima è viva, fragile, effimera.

La tipicità si esprime nei gusti legati al territorio: il gelato alla nocciola delle Langhe, il sorbetto al mandarino tardivo di Ciaculli, il gelato al torrone di Cremona. Ogni regione, ogni città, ha la sua firma fredda.

E poi c’è l’esclusività. I migliori gelatieri non inseguono le mode, le creano.

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Stagionalità: Il Gelato come Specchio dell’Estate

Ad agosto, il gelato è il re indiscusso delle piazze italiane. È il momento dei gusti fruttati, che celebrano la stagione: sorbetto al pesca tabacchiera, gelato al gelsomino, o il classico limone che sa di vacanze al mare. Ma non dimentichiamo i gusti crema, che in estate trovano nuova vita: una stracciatella ben fatta, con scaglie di cioccolato che scrocchiano come promesse mantenute, o un fior di latte che sa di latte vero, non di polverine.

La stagionalità è vezzo e filosofia.

Un gelato al lampone a dicembre? Sacrilegio.

Il gelato vive il momento, come un buon vino che si apre solo nella sua annata migliore.


L’Esclusività: Un’Eccellenza Riconosciuta nel Mondo

All’estero, il gelato italiano è un ambasciatore senza passaporto. A New York, Tokyo o Dubai, le gelaterie che si rispettano si fregiano della parola gelato, non ice cream. È un marchio di fabbrica, un sigillo di qualità che evoca l’Italia anche a migliaia di chilometri di distanza. Ma attenzione: non tutto ciò che si chiama gelato lo è davvero.


Le catene globali spesso tradiscono l’essenza artigianale, usando basi preconfezionate o aromi artificiali. Il vero gelato italiano si riconosce dalla texture (morbida, mai gommosa), dal colore (niente verdi fluo o rosa shocking) e dal sapore che non urla, ma sussurra.

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Il Gelato come STG? Un Sogno Freddo Ancora in Cantiere

E qui, cari lettori, entra in gioco una domanda che scalda i cuori dei puristi: il gelato artigianale italiano è una Specialità Tradizionale Garantita (STG)? Non ancora, ma la questione è sul tavolo.

Negli ultimi anni, associazioni di gelatieri e realtà come la Carpigiani Gelato University hanno discusso la possibilità di candidare il gelato artigianale come STG, un marchio europeo che tutela prodotti tradizionali con metodi e ingredienti specifici, come la pizza napoletana o la mozzarella. L’idea è di distinguerlo dall’ice cream industriale e celebrarne la storicità, che affonda le radici almeno fino al Rinascimento.

Tuttavia, il percorso è tortuoso. Per ottenere la STG, serve un disciplinare condiviso che definisca cosa rende il gelato “artigianale”: ingredienti freschi, produzione in piccoli lotti, mantecazione attenta.

Ma qui casca l’asino. C’è chi vuole un disciplinare rigoroso, bandendo semilavorati e additivi, e chi teme che troppa rigidità soffochi la creatività dei gelatieri o escluda chi usa basi di qualità per semplificare la produzione.

Il dibattito tra i celopuristi e i pragmatici è ancora aperto, e il consenso necessario per presentare la candidatura al Ministero delle Politiche Agricole e poi alla Commissione Europea tarda ad arrivare.

Ad agosto 2025, il gelato artigianale resta un patrimonio culturale senza bollino ufficiale, ma con un’aura che non ha bisogno di certificati per conquistare il mondo.


Dopotutto, come si fa a standardizzare un’opera d’arte che cambia gusto in ogni gelateria?

E ora, permetteteci un pizzico di ironia. Il gelato è l’unico alimento che mette tutti d’accordo: il critico gastronomico con il suo palato affinato, il bambino che lo spalma sulla maglietta, il turista che lo fotografa prima di mangiarlo. È democrazia fredda, un lusso accessibile che non richiede dress code o prenotazioni.

Ma guai a sottovalutarlo: dietro ogni cucchiaino c’è un gelatiere che ha sudato, calcolato, sognato. E se il cono si scioglie sotto il sole d’agosto, beh, è solo la prova che il gelato è vivo, imperfetto, umano.


Quindi, la prossima volta che ordinate un gelato, scegliete con cura. Cercate il pistacchio che sa di Sicilia, il cioccolato che sussurra fondente, il sorbetto che profuma d’estate.


E ricordate: il gelato non si mangia, si vive.

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