Se muore la cucina italiana, il vino rimane senza voce
- Donatella De Lucia
- 15 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Mentre chiudono i ristoranti veri, si spegne anche il racconto del nostro vino

Il grido d’allarme è lanciato da Italia a Tavola il 14 luglio 2025 (link all’articolo originale) è di quelli che non possiamo ignorare: la cucina italiana sta morendo, lentamente ma inesorabilmente. E con lei, anche il vino italiano rischia di perdere le sue fondamenta culturali e commerciali.
Ristoranti in crisi: una caduta libera
Quasi 20.000 chiusure di locali nel solo 2024
Un saldo negativo tra aperture e cessazioni mai visto prima
Aumento dei prezzi e calo delle presenze: mangiare fuori è diventato un lusso occasionale
Il risultato è un'Italia sempre più omologata, dove i “ristoranti veri” – quelli con un’identità, una storia, un cuoco in cucina – cedono il passo ai format replicabili, ai menù cloni, alla standardizzazione.
E il vino? Segue la stessa sorte
Il vino italiano vive una crisi parallela e speculare:
I consumi interni sono in netto calo, soprattutto tra le nuove generazioni.
I ristoranti tradizionali, che da sempre rappresentano la vetrina naturale per il vino di qualità, chiudono o riducono drasticamente la carta vini.
I format in franchising raramente promuovono etichette artigianali o territoriali: preferiscono referenze commerciali, gestite da grandi distributori.
In questo contesto, il vino rischia di perdere il suo palcoscenico quotidiano: niente più racconto a tavola, niente più abbinamento curato, niente più scoperta del produttore locale.
E se il vino non si racconta, non si vende.
Franchising e logica industriale: la fine della narrazione?
L'articolo di Italia a Tavola mette in luce un meccanismo impietoso:
Le catene offrono costi più bassi, turn over controllato, fornitori selezionati, gestione centralizzata.
Ma tutto questo si paga con l’anonimato: piatti perfetti ma senz’anima, vini senza territorio, personale formato alla velocità, non alla cultura.
Il vino in particolare soffre la mancanza di tempo: non c’è più spazio per spiegare un’etichetta, proporre una verticale, raccontare una vendemmia.
🧭 Una domanda chiave: chi parlerà del nostro vino, se chiudono i ristoranti veri?
In un mondo che accelera verso l’omologazione, i ristoranti indipendenti sono (erano?) il vero presidio culturale del vino italiano.
Quando un'osteria di paese chiude, non sparisce solo un piatto tipico: sparisce anche il vino locale che lì si serviva.Quando un’enoteca con cucina si trasforma in un fast casual, perde senso anche il lavoro di quei piccoli produttori che con fatica presidiano la qualità.
Il rischio più grande? Diventare turisti di noi stessi
Nel frattempo, cresce un’altra Italia: quella dei ristoranti pensati per il turismo, per l’Instagram, per il menù tradotto in cinque lingue. Lì il vino diventa un accessorio, un “Rosso Toscano” generico, un “Pinot Grigio” senz’anima. Ma la cultura del vino non può essere solo scenografia: è conoscenza, cura, identità.
✨ Cosa possiamo (e dobbiamo) fare?
Difendere i presidi di qualità: agriturismi, trattorie, bistrot che ancora propongono vini artigianali e piatti veri.
Raccontare il vino anche fuori dai ristoranti: blog, podcast, eventi, esperienze.
Creare ponti tra ristoratori e viticoltori: collaborazione diretta, degustazioni congiunte, carte vini su misura.
Rinforzare l'identità dei piccoli brand vinicoli con strategie digitali e storytelling
In sintesi, quello che sta accadendo non è solo un cambiamento del mercato: è un cambiamento del senso stesso di italianità a tavola. La cucina e il vino sono due facce della stessa medaglia, e perderne una significa impoverire anche l’altra. Ora più che mai, servono scelte coraggiose: dal consumatore, dal ristoratore, dal produttore, da chi – come noi – racconta e difende un modo di vivere. Un modo fatto di lentezza, condivisione, sapori autentici.
Un modo fatto di persone e prodotti autentici, non solo di format.










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